PER UNA CIVILTÀ AUTENTICAMENTE UMANA
che si opponga alle troppe vite negate e violentate
di Olimpia Tarzia
La cronaca ci riporta continui terribili casi di violenza sulle donne e l’attenzione al tema è giustamente oggetto di numerose iniziative, ma mi domando perché nulla mai si racconta sulla violenza devastante causata da un aborto: eppure riguarda –secondo i dati ufficiali – circa 70.000 donne l’anno…devastazione che, nel mio quarantennale impegno per la vita, ho colto nel cuore profondamente ferito di chi l’ha vissuto e nello sguardo irrimediabilmente malinconico per un figlio mai nato, perché non è stato loro tutelato il diritto di essere libere di non abortire: sarebbe bastato accoglierle, ascoltarle, aiutarle a superare le difficoltà. Silenzio assoluto poi sulla drammatica solitudine di oltre 12.000 donne (stime del Ministero della Salute) che ricorrono all’aborto clandestino: non è catalogata come violenza.
E non è forse una violenza insopportabile, una moderna schiavitù, affittare l’utero di donne povere e disperate per venderne il figlio a ricchi e vip?
Abbiamo ancora tutti neI cuore l’immagine dolcissima di Indi Gregory, la bambina anglo-italiana di otto mesi affetta da una rara patologia mitocondriale, che stringeva il dito della mamma e a cui i medici del Queen’s Medical Centre di Nottingham hanno deciso di staccare i supporti vitali (nel suo, hanno detto, “miglior interesse”), nonostante il parere contrario dei genitori all’estubazione.
Il 13 novembre la piccola Indi è morta. Non a causa della sua grave patologia, ma perché le è stata deliberatamente cagionata la morte. Inutili e penosamente ipocriti i giri di parole per nascondere la realtà oggettiva: le è stata tolta la vita. La corte inglese l’ha condannata a morte, decidendo della sua vita, contro il parere dei genitori, che avrebbero voluto vivere accanto a lei il tempo che le rimaneva da vivere, grazie ad un’eccellenza mondiale, quale il Bambino Gesù, che si era offerto di accompagnarla e di metterle a disposizione ogni assistenza e cura e grazie anche al governo italiano che ne avrebbe sostenuto le spese e le aveva riconosciuto, con provvedimento urgente il 6 novembre, la cittadinanza italiana. Oggettivamente incomprensibile e irrazionale il rifiuto della Corte inglese nel negare non solo le cure in patria ma anche il trasferimento, a costo zero per loro, all’estero.
Per impedire che casi come quello della piccola Indi si ripetano, urge un protocollo europeo per le cure salva vita inserendo tra questa le cure palliative, perché, a parte la Gran Bretagna, sappiamo bene che in altri Paesi viene praticata l’eutanasia a bambini, adolescenti, disabili gravi e nulla mai si racconta della quotidiana violenza tramite la selezione eugenetica, praticata su migliaia di nascituri anche nel nostro Paese, colpevoli di non essere ’perfetti’ nell’arbitraria scala della ‘qualità di vita’, divenuta ormai un dogma.
Bambini scartati perché ‘difettosi’ con l’eutanasia, bambini ‘invisibili’ come con l’aborto.
Lo sgomento non trova parole adatte, perché non ce ne sono. Come non ci sono parole per tutti i bambini deliberatamente uccisi con le guerre.
In quest’ottica il concetto di ‘qualità di vita’, di per sé un valore, assume in realtà caratteristiche inquietanti. Invocandolo, infatti, se si perde di vista il valore assoluto della vita umana e della sua dignità di persona, a prescindere dalle sue condizioni, si può arrivare a commettere veri e propri orrori, mistificati da falsa misericordia. Perché ne consegue la domanda: qual è la qualità di vita considerata accettabile? Quali sono i limiti sotto i quali una vita è considerata non degna di essere vissuta? E, soprattutto, chi lo stabilisce? I medici? I giudici? Un governo? Ogni volta che nel corso della storia si è sottratta la dignità di persona ad un essere umano, si sono messi in atto i peggiori crimini contro l’umanità.
Al di fuori di una prospettiva religiosa, la dignità della persona è una caratteristica intrinseca alla vita umana: non è una qualità opinabile, dipendente da particolari condizioni e in essa si spiegano i diritti fondamentali alla vita, alla salute, alla libertà etc…
Inclusione, parità dei diritti, uguaglianza, solidarietà: termini che ritroviamo copiosi in qualsivoglia iniziativa culturale e sociale, ma che, quando riguardano malati terminali e disabili gravi, in ossequio alla stringente logica del politically correct, svaniscono drammaticamente, squarciando il fitto velo dell’implacabile cultura dello scarto. Ma dobbiamo comprendere che non ha senso investire su progetti educativi, di prevenzione al disagio e alle dipendenze, di contrasto alla violenza di ogni genere, se per primi, come genitori, educatori, rappresentanti delle Istituzioni, non siamo in grado di fermare la drammatica deriva, oltretutto autodistruttiva, che ci investe ogniqualvolta la vita e la dignità di un singolo essere umano, qualunque ne siano le condizioni, non viene considerata e tutelata come sacra e inviolabile come i suoi diritti fondamentali, primo tra tutti quello alla vita.
C’è chi ritiene troppo inquietante e sconvolgente volgere lo sguardo verso chi chiede di morire perché sofferente e solo, troppo impegnativo garantirgli dignità nel morire alleviandone la sofferenza con le cure palliative e dunque ne sentenzia la morte, ammantandola di una presunta misericordia.
Confusione e disorientamento, complice antilingua e decadenza del pensiero. Equivoci, alterazioni dell’informazione scientifica, illogicità disarmanti, assurdità mascherate in vario modo sono propinate a getto continuo, col risultato che la gente capisce sempre meno cosa è vero e cosa è falso. Non è un fatto di fede: il piccolo bambino concepito non è un “progetto di vita”, né un “fatto politico” o un “invenzione della chiesa”, bensì un “nuovo individuo della specie umana”, dotato di una sua personale e irripetibile identità. Un figlio, insomma! Il più debole e indifeso figlio della comunità umana: non si vede, non si sente, non può scendere in piazza per far valere il suo diritto a nascere e, soprattutto, non vota! Se si rinuncia a difenderlo come potrà essere esercitata l’attenzione verso altri deboli e fragili? Quando a un bambino viene impedito di nascere siamo tutti più poveri, l’intero tessuto sociale si impoverisce, le virtù sociali si indeboliscono, le relazioni si fanno più strumentali.
Il messaggio dei Vescovi per la Giornata per la vita ci ammonisce: “Tante sono dunque le “vite negate”, cui la nostra società preclude di fatto la possibilità di esistere o la pari dignità con quelle delle altre persone. La vita dei malati e disabili gravi viene giudicata indegna di essere vissuta, lesinando i supporti medici e arrivando a presentare come gesto umanitario il suicidio assistito o la morte procurata. La vita dei bambini, nati e non nati, viene sempre più concepita come funzionale ai desideri degli adulti (…) All’ emergenza educativa, occorre opporre una resistenza educativa, ricostruendo una cultura della vita e ribadendo la centralità, nel dibattito culturale e politico, dei princìpi non negoziabili, il cui peso assoluto deriva dal non essere il frutto di un’antecedente negoziazione; la loro alienazione infatti comporta il crollo dell’intera impalcatura valoriale. Perché una società che lascia morire quel cordone ombelicale che la tiene legata a determinati princìpi, viene a morire essa stessa.
Il messaggio dei Vescovi auspica che “Nella Giornata per la vita salga dunque, da parte di tutte le donne e gli uomini, un forte appello all’impossibilità morale e razionale di negare il valore della vita, ogni vita “, perché forse siamo ancora in tempo per chiederci che umanità vogliamo consegnare ai nostri figli.